Lotta agli abusi salariali: i promotori dell’iniziativa popolare smontano il controprogetto
Giuseppe Sergi: «Le commissioni paritetiche sfruttano male i lauti mezzi già disponibili»

MASSIMO SOLARI*
Un doppio attacco. È quello che i promotori dell’iniziativa popolare «Basta con il dumping salariale in Ticino» hanno sferrato – in vista della votazione del 25 settembre – al controprogetto accolto in Parlamento e sostenuto dal Governo. Affiancato dai Verdi, da una frangia di economisti e ricercatori ma non dal PS – favorevole ad entrambe soluzioni con preferenza per l’originale – ieri a Bellinzona il Movimento per il socialismo (MPS) ha in effetti posto l’accento su due aspetti dell’alternativa ritenuti «problematici»: l’eliminazione dell’obbligo di notifica all’Ispettorato del lavoro di ogni contratto – e delle sue condizioni – stipulato in Ticino e la destinazione di una parte dei crediti richiesti. Su quest’ultimo punto il coordinatore dell’MPS Giuseppe Sergi è stato chiaro: «Difendendo il controprogetto il Governo e la maggioranza parlamentare inscenano la favola di Robin Hood, ma al contrario. Da un lato vogliono risanare le finanze cantonali a suon di centinaia di milioni e dall’altro prevedono di aumentare i finanziamenti alle commissioni paritetiche che però sono già piene di soldi». Secondo Sergi «nel quadro della lotta al dumping queste istituzioni, chiamate a vigiliare sull’applicazione dei contratti collettivi, disporrebbero già di lauti mezzi per intervenire in modo più incisivo». Da qui l’esempio del settore della ristorazione «che beneficia di 9 milioni di contributi professionali ma ne spende solo 4 a livello di contralli» ha precisato Sergi. A fargli eco è stato il deputato dell’MPS Matteo Pronzini, autore di una serie di calcoli sul tema. «In Ticino – ha spiegato – s’incassano circa 24 milioni all’anno di contributi professionali: 18,5 provengono dai lavoratori, 5,5 dai datori di lavoro. Ebbene: tenuto conto di un stipendio medio in seno alle paritetiche di 110.000 franchi, con questa cifra si potrebbero finanziare 219 ispettori». Nel complesso, lo ricordiamo, l’iniziativa chiede un ispettore ogni 5.000 salariati, per un fabbisogno che i promotori calcolano in 46 nuovi controllori con una spesa annua pari a 6 milioni. Il controprogetto, invece, prevede di rafforzare la dotazione delle commissioni Tripartita e paritetiche per un massimo di 28 unità – di cui 10 a metà tempo – e tramite un credito di 10 milioni su 4 anni. Come detto non di soli oneri si è tuttavia parlato, ma anche della componente statistica prevista dall’iniziativa ma non – sempre per motivi finanziari – nella controproposta. L’economista Sergio Rossi ha in tal senso voluto porre in evidenza «due meriti» dell’originale: «Attraverso l’obbligo di notifica dei contratti conclusi l’iniziativa impone un’assoluta trasparenza a livello di salari, condizioni lavorative e qualifiche. Uno sforzo, questo, che si chiede ai datori di lavoro non per motivi dittatoriali ma per mettere ordine in una giungla, quella del mercato del lavoro ticinese. E di questi dati, oggi parziali se non addirittura assenti, abbiamo bisogno per capire in che direzione stiamo andando». Rossi ha inoltre evidenziato come «i benefici dell’iniziativa risulterebbero maggiori rispetto ai suoi costi: per le famiglie, con stipendi più alti e quindi maggior potere d’acquisto, per le banche che vedrebbero aumentare i volumi d’attività nella gestione patrimoniale, e per lo Stato in termini di maggiori entrate fiscali e minori spese sociali». Un concetto ribadito dalla coordinatrice dei Verdi Michela Delcò Petralli: «L’iniziativa costa, è vero, ma qui non si parla di una spesa, ma di un investimento, in grado di diminuire le uscite assistenziali e di risanare all’origine i mali del mercato del lavoro». Da parte sua Christian Marazzi ha indicato come «il problema attuale non risieda tanto nel tasso di disoccupazione ma in quello dell’occupazione precaria. Per questo è necessario dotarsi di strumenti statistici che possono permettere alle forze in campo, politiche e sindacali, di promuovere nel più breve tempo possibile delle misure di contenimento». Il presidente del comitato «Giù le mani dalle Officine» Gianni Frizzo ha per contro rilevato come, a livello di incisività nella lotta agli abusi salariali, con l’iniziativa «si abbandona il “si può” per abbracciare il “si deve”. Ma è solo l’inizio dal momento che non ci troviamo più di fronte all’eccezione, ma a quella che piano piano sta diventando la regola».

* Articolo apparso sul Corriere del Ticino del 13 settembre 2016

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