di NICOLA SCHOENENBERGER*
Quale futuro vogliamo per il Ticino? Quanto siamo disposti a perdere per la fuga di cervelli, di giovani che formiamo ma che non rientreranno mai in Ticino perché manca il lavoro o perché è precario?
2.100 franchi lordi per un architetto, non è che l’ultimo esempio di salario vergognoso offerto da aziende con sede nel nostro cantone. In questi anni abbiamo visto il peggio: commesse pagate 1.300 franchi lordi, segretarie a 9 franchi l’ora, ingegneri a 1.950 franchi, e si potrebbe continuare per ore. Senza contare i casi di abusi: gente assunta al 50% e fatta lavorare al 100%, lavoratori formati assunti e pagati come manovali, operai sotto contratto per 4.000 franchi ma che ne ricevono 1.300, ecc.
Nei settori in cui non esiste un contratto collettivo di lavoro che garantisce condizioni salariali dignitose e in caso di offerte abusive di salari inferiori a quelli usuali, possono essere deliberati contratti normali di lavoro (CNL). Questi stabiliscono salari minimi vincolanti validi per l’intero ramo. In Ticino, i 15 contratti normali di lavoro decretati dal Consiglio di Stato non sono tuttavia serviti a bloccare il degrado del mondo del lavoro anche perché i salari minimi stabiliti, che spesso si aggirano attorno ai 3.000 franchi lordi, sono talmente bassi che non permettono ai lavoratori di vivere e progettare un futuro. Inoltre, l’applicazione dell’iniziativa «Salviamo il lavoro» che chiede l’introduzione di salari dignitosi è stata trascinata per le lunghe.
Il 25 settembre abbiamo la possibilità di fare un passo avanti concreto votando l’iniziativa «Basta al dumping» per un maggiore controllo del mercato del lavoro. Il testo chiede un ispettore ogni 5.000 posti di lavoro e l’obbligo per le aziende di annunciare tutti i contratti specificando il salario, tempo di lavoro, la percentuale di impiego, il domicilio del dipendete, le qualifiche richieste e altre informazioni utili. Tutti questi dati sarebbero disponibili in breve tempo e sarebbe quindi possibile sapere subito se i salari offerti sono troppo bassi, ma non solo: si saprebbe infatti quali imprese giocano sporco e si potrebbero fare controlli mirati per scoprire i disonesti.
Con il sistema attuale invece ci vogliono anni e quando finalmente si agisce ormai è troppo tardi, perché nel frattempo le condizioni si deteriorano irrimediabilmente. Ad esempio gli informatici con master universitario, che in Svizzera guadagnano, al primo salario oltre 7.000 franchi, hanno un CNL in Ticino che prevede poco più di 4.100 franchi.
È evidente che in queste condizioni è impossibile agire efficacemente per salvare il salvabile e la situazione non farà che peggiorare. Eppure il controprogetto sostenuto dal Consiglio di Stato e dalla maggioranza del parlamento propone semplicemente di potenziare il sistema attuale, mantenendo però le regole invariate. Significherebbe sprecare tempo e soldi per chiudere la stalla quando i buoi sono già scappati.
Basti pensare che oggi la commissione tripartita incaricata di stabilire dove è in atto il dumping effettua i controlli essenzialmente su segnalazione o nei settori definiti a rischio dalla SECO. E l’abbiamo sentita tutti la direttrice della SECO, Marie-Gabrielle Ineichen-Fleisch, dichiarare che «non esiste dumping in Ticino, non esiste sostituzione sistematica del personale residente con frontalieri, e la disoccupazione cala». Vogliamo che sia lei a continuare a dirci quali settori sono problematici?
* Opinione pubblicata sul Corriere del Ticino del 23 settembre 2016